
Tra i poeti che amo e che mi piace leggere c’è Gary Snyder.
Sintetizzare la sua biografia è impossibile per me, e dunque prendo a prestito la quarta di copertina di uno dei suoi libri, “Nel mondo poroso. Saggi e interviste su luogo, mente e wilderness” – edizioni Mimesis.
Gary Snyder, poeta, saggista e buddista laico. Nome legato alla Beat Generation e al movimento della controcultura negli anni ’60. Premio Pulitzer per la poesia nel 1975. E’ tra gli ispiratori dei movimenti del bioregionalismo e dell’ecologia profonda.
Un intellettuale (ma non so quanto possa essergli gradita questa “etichetta”) che ha coltivato nella sua lunga vita (è nato nel 1930) esperienze di profonda connessione con la natura, i paesaggi e le culture native americane, proponendo visioni etiche, politiche ed ecologiche di grande attualità.
Tra i temi che sento più interessanti per la mia personale ricerca c’è quello della selvaticità (wilderness).
Semplificando forse, con l’intento di suggerire qui solo alcuni spunti, per spiegare il punto può essere utile partire dall’esempio dei corridoi verdi nelle aree urbane, grazie ai quali si possono favorire processi di ripristino, o tutela, della biodiversità, almeno parte di essa.
Le pratiche di “selvaticità” vanno intese quindi come la creazione di “spazi” nella nostra esperienza di vita che ci permettano di ricontattare e riattivare quell’energia vitale che è in noi, è presente, anche se ci sembra sopita, perché proviene dalla nostra eredità come specie umana di Sapiens.
In qualche modo dunque, seguendo la metafora dei corridoi verdi, praticare la selvaticità può voler dire ripristinare quella nostra personale biodiversità per aprirci ad una vita più ricca in termini di esperienze, conoscenza di noi stessi, anche di ampliamento dei nostri confini.
Aprirci alla selvaticità, alla parte meno “coltivata” di noi stessi, per accedere a quella saggezza “innata” che le migliaia di generazioni prima della nostra ci hanno lasciato come eredità biologica, come intelligenza, talento, creatività, immaginazione, linguaggio, espressione artistica.
E di nuovo, la natura è maestra in questo percorso.
Ma questo non significa che dobbiamo esplorare aree naturali selvagge, lontane da dove viviamo, per praticare la nostra selvaticità.
Si può accedere al selvatico anche nelle città in cui abitiamo se sappiamo cambiare il nostro sguardo, se “conosciamo il sentiero per il posto selvatico” se proviamo ad osservare con occhi diversi, senza pre-giudizi, quello che ci circonda e ciò che risuona in noi, “ciò che è spaventoso ma anche tranquillo”.
La poesia “ I posti selvaggi della terra” a me dice proprio questo: la città come organismo, corpo, con le sue autostrade, le stazioni di servizio, i camion. Mani, bocche, occhi. Conosciamo tutto, tutto ci è familiare, sappiamo come funzionano le cose.
Ma c’è un angolo selvatico, ognuno scoprirà quale, ognuno può trovare il proprio, e lì siamo soli. Non conosciamo esattamente le regole di quello che accade, non sappiamo come funziona e perché.
Può sembrarci spaventoso, perché non è controllabile, ma – forse proprio per questo – è anche profondamente tranquillo.
I POSTI SELVAGGI DELLA TERRA
I tuoi occhi, la tua bocca e le mani,
le autostrade pubbliche.
Mani, come stazioni di servizio,
grossi camion a brontolare negli angoli.
Occhi come lo sportello di un bancario
cambiavalute.
Amo ogni parte del tuo corpo
amici abbracciano le tue periferie
si autorizzano le coltivazioni agricole.
Ma io conosco il sentiero
per il tuo posto selvatico.
Non è che io lo preferisca,
ma li siamo quasi sempre da soli,
ed è spaventoso ma anche tranquillo.
Gary Snyder