Alberi-mammut

Ripenso, talvolta con un po’ di nostalgia, ai lunghi pomeriggi dopo la scuola e mi rivedo immersa nella lettura delle storie dei pirati di Salgari mentre sognavo arrembaggi tra i mari tropicali.

I libri mi hanno sempre fatto molta compagnia.

Come chiunque ami leggere, col tempo ho coltivato un mio metodo nella scelta di storie e autori che sentivo più vicini e interessanti: ho letto classici, romanzi storici, fantascienza, gialli, fantasy.

Per lo più letteratura europea, nord e sud americana, russa, israeliana, anche giapponese.

Fidandomi anche di consigli di lettura, pochi però, sempre e solo di persone stimate. Ho trascorso ore indimenticabili insieme a personaggi che entravano nella mia vita per un tratto di strada e restavano lì come me, come persone in carne e ossa. E’ così: la lettura dei romanzi ci fa vivere ulteriori vite e non è solo una faccenda che riguarda la mente, si parla di emozioni, respiro, sensazioni del corpo.

Una sorta di realtà aumentata.

Qualche anno fa c’è stato un cambiamento nei miei interessi, ho quasi smesso di leggere romanzi anche se a casa ci sono ancora scaffali pieni di tascabili che attendono il loro turno.

Non sono bene come sia successo, e forse non ha così tanta importanza, immagino sia una fase.

Questo cambiamento potrebbe anche essere collegato al rifiorire del mio amore per la natura, un’attrazione che ha cambiato le mie prospettive, il modo in cui guardo a me stessa e alla vita.

Così, oltre a stare nei boschi e in natura ogni volta che posso, anche per accompagnare piccoli gruppi, ho iniziato a leggere libri su alberi e piante, sull’ecologia profonda, l’etologia, la biologia, l’antropologia, l’ecopsicologia, la teoria dei sistemi, anche la fisica quantistica (divulgativa!), la filosofia e altro ancora. E la poesia. Insomma, un bel miscuglio !

Ho incontrato sguardi che mi hanno aiutato a comprendere un poco meglio le origini del nostro profondissimo legame con la natura, a volte anche attraverso l’intuito e l’arte. Un legame, quello con gli ambienti naturali, da cui negli ultimi 200 anni ci siamo sempre più allontanati fisicamente ed emotivamente a causa delle grandi trasformazioni che la rivoluzione industriale e la tecnologia hanno introdotto. E alla progressiva concentrazione della vita umana nelle grandi città. Oggi circa la metà della popolazione mondiale vive nelle agglomerazioni urbane e la tendenza prevede un’ulteriore crescita nei prossimi 10 anni per arrivare fino al 70% e oltre.

La natura per molti di noi oggi è una sorta di sfondo, una quinta scenica, un insieme di risorse da utilizzare più o meno intensivamente.

Un parco giochi.

In ogni caso appare sempre meno percepita come un tutto, una rete complessa di cui siamo parte anche noi, al pari degli altri animali, delle piante, delle rocce, di mari, laghi e fiumi, del sistema solare e delle galassie!

Questa è una fase dell’evoluzione in cui l’essere umano si percepisce come il fulcro centrale della Terra,  denominata Antropocene, un periodo nella scala geocronologica della vita sul pianeta in cui gli esseri umani esprimono un impatto “rilevante” su tutto l’ecosistema terrestre.

Senza addentrarmi su questo tema, quel che mi interessa è approfondire l’eredità, culturale ed evoluzionistica, che le migliaia di generazioni dei nostri avi umani, vissuti in ambienti naturali e selvaggi, ci hanno trasmesso: un patrimonio di cui siamo in buona parte poco consapevoli e che pure guida tanti nostri comportamenti, scelte e anche emozioni.

A questo proposito, Theodore Roszak, il “padre” dell’ecopsicologia, così definisce l’inconscio ecologico

“L’inconscio collettivo, al suo livello più profondo, racchiude l’intera intelligenza ecologica di tutte le specie, la fonte da cui è scaturita la cultura, come riflesso consapevole di una emergente mente della natura. La sopravvivenza della vita e di tutte le specie non sarebbe stata possibile senza un tale sistema di saggezza autoregolantesi. Era lì per guidare questo sviluppo attraverso tentativi ed errori, selezione ed estinzione, così come era lì nell’istante del big bang per condensare i primi lampi di radiazione in materia solida.

(Theodore Roszak, The Voice of the Earth – An Exploration of Ecopsychology).”

Io sono molto attratta dagli alberi e quindi il mio inconscio ecologico deve essere per qualche ragione (alcune credo di averle comprese) parecchio impastato con radici e foglie.

Ecco dunque, per tornare ai libri, che nella mia bibliografia personale ispirata alla Natura, i boschi e le foreste hanno un posto speciale.

Mi interessano gli aspetti scientifici e biologici, almeno i principali, di come gli alberi prosperano e affrontano le sfide ecologiche (ah… tornassi indietro nel tempo mi iscriverei a Scienze Forestali).

E poi, anzi di più, il legame sociale, culturale, affettivo, anche spirituale che il genere umano ha intrecciato con il popolo silenzioso delle creature radicanti.

Mi piace tanto contemplare gli alberi e scambiare dialoghi “sottili” con questi interlocutori silenti. Altrettanto mi affascina comprendere meglio la relazione ricchissima, complessa e archetipica che unisce alberi ed esseri umani. Per soddisfare una mia curiosità e penso anche per conoscere me stessa un po’ meglio.

Ho scelto quindi, tra i molti letti finora, cinque titoli in cui gli alberi sono protagonisti. Per varie ragioni mi hanno conquistato e li segnalo volentieri a chi dovesse inciampare tra queste righe. Mi sembra anche che ci sia un filo, anzi una radice, anzi molte radici, che li collega nel micelio della mia immaginazione.

Ne scriverò seguendo l’ordine cronologico con cui li ho letti, dunque non una classifica, per me sono tutti libri importanti che mi hanno aiutano ad ampliare lo sguardo.

Inizio oggi con il primo in questa mia mini bibliografia arborea.

Giona delle Sequoie

Viaggio tra i giganti rossi del nord America

di Tiziano Fratus

(Bompiani Overlook, 2019)

Tiziano Fratus è un autore che seguo e leggo da tempo, anzi credo di poter dire che siano stati proprio i suoi libri a orientare la mia attenzione verso la produzione letteraria imperniata sulla Natura.

Poeta e uomo-radice, come ama definirsi, Fratus è “autore di una costellazione di opere che abbraccia poesia, narrativa, saggistica e fotografia, tutti capitoli di un vasto silvario in fieri” come recita la biografia del suo bel sito studiohomoradix.com

Cito, sempre dal suo sito sopra menzionato, un bel ritratto di Fratus:

«Una delle voci più originali del nature writing in Italia, Tiziano Fratus è anche qualcosa di più: è un poeta radicale, un cercatore d’alberi, un filosofo che pensa e trova i suoi pensieri nei boschi. La sua dendrosofia è l’augurio di una saggezza arborea in cui tutto dialoga con tutto: radici, foglie, uccelli, insetti, suoni, umori, tempo» (Serenella Iovino, Università della North Carolina Chapel Hill)

Fratus ha pubblicato diversi libri con importanti case editrici italiane e nel sito  studiohomoradix.com  (nelle note il link), ricchissimo di spunti e approfondimenti, si può trovare anche il calendario delle tante  iniziative di incontro con lettori e appassionati, molti dei quali avvengono in boschi e parchi cittadini. In uno di questi eventi boscosi ho potuto conoscere Tiziano Fratus che guidava un piccolo gruppo di “adoratori degli alberi” (di cui facevo parte anch’io) nell’esplorazione a piedi del parco della Villa Reale di Monza, accompagnata da letture e brevi meditazioni tra alberi secolari.

Giona delle Sequoie è un libro a cui sono proprio affezionata: nel 2013 ho visitato alcuni dei grandi parchi americani in cui si possono ammirare le sequoie, protagoniste del libro: nell’incontro di Fratus con queste incredibili creature ho rivissuto i momenti di autentico stupore provati dinanzi a tali creature gigantesche.

“In California ho incontrato le più vaste creature del pianeta, “cose viventi”, living things le chiamano gli americani: le sequoie. Eden verticali, alberi maestosi, antiche foreste incernierate in silenzi preistorici, cattedrali spirituali ove depositare i dubbi, le incertezze, i ricordi”.

da Giona delle Sequoie, Tiziano Fratus

Un diario di viaggio in ambienti naturali magnifici e misteriosi, ricco di riferimenti alla storia della terra americana che li ospita, la California, e alle vicende di pionieri, ecologisti ante litteram, poeti, pittori, fotografi.

Un racconto personale e intimo degli incontri dell’autore con creature arboree fuori scala, templi naturali in cui raccogliersi anche in meditazione.

Le Sequoie sono creature quasi soprannaturali per dimensioni (alcune sequoie superano i 2.000 anni di età e sono altre oltre 100 metri) e sembrano arrivare da ere geologiche passate, infatti non a caso sono chiamate anche alberi-mammut. Ad esse ci si avvicina con riguardo e ammirazione silenziosa.

Mettendosi in ascolto dell’energia magnetica che emanano e dell’ intelligenza con cui hanno attraversato migliaia di anni, incendi, piogge torrenziali, pesanti disboscamenti.

Quei tronchi possenti e quelle altezze vertiginose ci accolgono, ci parlano anche di noi stessi.

“M’immergo nel paesaggio, raggiungo i contenitori della vita, totem che uniscono la materia di cui siamo fatti, la terra e il cielo. E’ qui, mi chiedo, che si raccolgono le anime di coloro che non ci sono più? Forse l’anima di un mio avo risiede nel Grizzly Giant. O forse no. Ma alla fine è meglio credere che non credere affatto”.

dalla quarta di copertina di Giona delle Sequoie, Tiziano Fratus, Edizioni Bompiani Overlook

E’ possibile ammirare questi alberi così grandi e altissimi anche in Italia, ve ne sono diversi nei nostri parchi e arboreti.

Uno dei capitoli finali del libro riporta l’elenco degli esemplari di Sequoia più annosi del nostro paese, informazioni preziose che si possono rintracciare anche in altri libri dell’Autore che segnalo nelle note all’articolo.

Quello che qui da noi non troviamo sono interi boschi di Sequoie. Camminare tra giganti, esserne circondati, sentirsi creature lillipuziane, stare costantemente con il collo piegato all’insù per cercare di scorgerne la chioma, sapere che sono lì da migliaia di anni.

C’è una parola in inglese che sintetizza bene gli stati d’animo che si provano dinanzi a scenari naturali straordinari, nel senso di fuori dall’ordinario: awe. Rimanda al sentirsi rapiti dalla bellezza, incantati dalla maestà, sbalorditi, ma anche un poco in soggezione, sbigottiti, con un senso di timore reverenziale.

Nelle foreste di sequoie del Mariposa Grove of Giant Sequoias e del Sequoia National Forest mi sono sentita così, e le foto di quel viaggio mi ritraggono con un’espressione trasognata, incredula.

Una piccola umana felice di sostare all’ombra di giganti legnosi.

NOTE ALL’ARTICOLO

https://studiohomoradix.com/fratus/

  • Manuale del perfetto cercatore d’alberi, di Tiziano Fratus (Feltrinelli, 2017)
  • L’Italia è un bosco, di Tiziano Fratus  (Laterza, 2014)

3 commenti

  1. Paola Cerrato ha detto:

    Il fascino degli alberi millenari che ti proietta in un altrove temporale!
    La parola awe che in lingua anglosassone indica il particolare stato d’animo descritto nell’articolo, potrebbe essere paragonato allo spagnolo sobrecogedor

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  2. Paola Cerrato ha detto:

    “Io non rinascerò, ma noi rinasceremo”
    L’affascinante idea di un inconscio ecologico collettivo sembra trovare riscontro in numerosi miti e leggende.
    E proprio a proposito di alberi lo scrittore giapponese Kenzaburo Oe riporta la leggenda del “Nostro Albero” . Nel suo villaggio natio nel cuore di una foresta è convinzione che ciascuno abbia un suo albero a cui si è legati nella nascita e nella morte secondo un flusso di tempo non lineare.

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    1. Elena Cadelli ha detto:

      Cara Paola! non conoscevo questa leggenda ma è qualcosa che “sento” anch’io e certamente mi piace pensare e credere che ci esisita un “mio” albero (uno solo?!) a cui io sia così profondamente, e inspiegabilmente, legata ! grazie mille, Elena

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